martedì 12 giugno 2018

Una fiaba


©Nica_2018

Storia di un indiano e delle sue frecce
La vicenda si svolge in un polveroso villaggio Lenape, una smilza tribù di pellerossa stanziata nel New Jersey. È proprio lì, sotto l’ombra di querce secolari e accarezzato dall’acqua dolce dei laghi, che nasce Noolic, un ragazzetto dal nome indiano che sta a significare “Freccia che Inciampa”.
Nel piccolo villaggio, le tende erano separate da ampi spazi di terra rossa e le relazioni tra gli abitanti dei tee-pee erano poche, ma buone. In realtà quelle più significative per Noolic, come ad esempio la relazione con la propria famiglia, si sviluppavano un po’ a singhiozzo. A volte erano ottime, a volte meno, a volte erano preziose, altre meno. Noolic era un solitario, ma amava la gente. Noolic era un solitario, ma la gente lo amava.

Il tempo passa velocemente e giovane indiano raggiuge l’età dell’iniziazione. Ogni ragazzo, non importa quale sia la sua tribù, deve affrontare questo periodo attorno ai 15 anni. Ognuno ha una missione da svolgere.
Nel piccolo paese Lenape, ogni ragazzo raggiunta l’età, deve partire dal proprio villaggio per il periodo necessario a cacciare la propria Leggenda Personale. Per crescere davvero bisogna superare il rito, bisogna tornare con la bisaccia piena. Allora sì, che si entra a far parte, per davvero, del villaggio.

Il giorno era arrivato anche per Noolic che, per ricevere le giuste indicazioni, venne invitato a raggiungere la tenda buia dello sciamano: un uomo di mezz'età vestito di colori pastello – azzurro e ocra – alto e di bell'aspetto, che posò immediatamente i suoi occhi verdi sul giovane indiano. L’uomo gli si avvicinò molto lentamente e gli porse la mano. Stretto tra le dita teneva un piccolo arco con il dorso di bambù e due flettenti piatti. Piatti come la vita di quel villaggio, fatto di tende buie, di strade piene di polvere di terra rossa e di poche, ma buone, relazioni.
“Questo sarà il tuo unico compagno di viaggio – gli disse – vai, trova la tua leggenda personale, e torna quando la tua bisaccia sarà piena.”
Senza aprire bocca Noolic, si voltò e partì. Nella sua testolina aveva molteplici domande– Come si fa cacciare soltanto con un arco? –Come farò a capire quale sarà la giusta strada da percorrere? Come riconoscerò la mia leggenda personale? Come troverò i 5 saggi? – La strada da fare era lunga, e per poter catturare la propria Leggenda Personale, nascosta in un luogo lontano dal villaggio, il ragazzo avrebbe dovuto attraversare cinque foreste e incontrare cinque saggi, custodi dei più grandi segreti della vita, che lo avrebbero guidato nella giusta direzione.


Il viaggio della vita
Arrivato alle porte della prima foresta, la foresta delle querce secolari, in un momento di silenzio, il primo saggio si mostrò al giovane. “So che sei a caccia, ragazzo. L’arco ce l’hai. Prendi questa prima freccia. Lunga e solida. La freccia dell’AMICIZIA. Vai, e prosegui il tuo cammino.” Noolic un po’ sorpreso mise la freccia nella sua faretra e ripartì. I suoi mocassini lasciavano dietro di lui le impronte di un viaggio, quello della vita, che sarebbe stato molto lungo.
Il giorno seguente, dopo una notte passata in tranquillità, riprese il cammino. Passata una giornata raggiunse la seconda distesa di alberi. Questa volta ad accoglierlo erano degli aceri, che in quel periodo dell’anno vestivano di un rosso purpureo. Il secondo saggio, comparì da dietro un tronco con una freccia in mano, la porse al ragazzo e gli disse: “Prendi questa seconda freccia. La freccia
della FAMIGLIA. Nonostante il suo aspetto, sottile e leggero, ha la precisione di un ago nelle mani della più abile sarta.” Il giovane ringraziò e ripartì.

Dopo qualche chilometro, sopra una collina, in un boschetto di pini si nascondeva il terzo saggio. “Aggiungi alla tua faretra la freccia dell’AMORE, una freccia potente e pesante, che riesce a dominare ogni ostacolo che incontra durante il volo. Tienila con te, fanne buon uso.”

Noolic silenziosamente, stava dando le prime risposte alle domande che gli ronzavano in testa prima della partenza, discese la collina e raggiunse uno spiazzo di terra tempestato da altissimi larici. Da un ramo, piuttosto in alto, si affacciò il quarto saggio, che lasciò cadere una freccia verso il piccolo indiano. “Prendila. Potrebbe servirti la freccia della PACE, è una freccia fragile, ma assai potente. Se colpisce il bersaglio, tutto si sistema.”

Con una nuova arma in grembo, proseguì il cammino e dopo alcune ore trovò l’ultima freccia, appoggiata ad una roccia sotto un enorme tiglio. Sulla roccia stava inginocchiato l’ultimo saggio, che con lo sguardo rivolto all’imponente albero disse: “Nonostante le sue dimensioni, piccole piccole, questa è la freccia più importante. Prendila... è la freccia dell’UMILTÀ.” Noolic la sistemò tra le altre e riprese il viaggio.


La caccia
Attraversate le cinque foreste il piccolo indiano dovette camminare ancora qualche ora, quando, al termine del viaggio si trovò di fronte alla propria Leggenda Personale. Aveva le sembianze di un’ombra, in continuo movimento, pronta ad attaccare.
Noolic spaventato, ma allo stesso tempo eccitato dalla situazione, impugnò l’arco con la mano sinistra. Con la destra, invece, tastò dietro le sue spalle. Non appena mise la mano, tremolante, alla faretra alla ricerca della giusta freccia da scagliare, la sua Leggenda Personale lentamente si inchinò e, come fosse l’acqua di una cascata, si riversò con estremo rispetto nella bisaccia del giovane indiano.


Dopo un istante di silenzio, che sembrò eterno, Noolic capì che, per poter catturare la propria Leggenda Personale, in realtà non era necessario scagliare le frecce, ma era indispensabile avere quelle giuste, a portata di mano, in caso di bisogno. Con un sorriso che gli si dipinse in volto, chiuse la bisaccia di pelle e tornò a casa ripercorrendo le impronte dei suoi mocassini, che avevano segnato il terreno di terra rossa. Ripassò in tutte e cinque le foreste. All’entrata e all’uscita di ognuna di esse Noolic appoggiava la mano sul cuore e abbassava la testa in segno di omaggio. Il ragazzo era consapevole che, le frecce che aveva ricevuto, sarebbero state utili per costruire e affrontare con consapevolezza il suo futuro.

I saggi non si mostrarono più e Noolic tornò al villaggio Lenape.


Di nuovo a casa
Da quel giorno, al rientro dal prezioso viaggio con le cinque frecce nella faretra, il ragazzo era diventato la bussola di sé stesso. Noolic rivolse gli occhi al sole, le ombre non gli facevano più paura. Anzi, sapeva che niente, lo avrebbe più spaventato e che ogni lato di ombra ha anche, e per forza, dei lati di luce e le frecce a disposizione avrebbero dato la possibilità di illuminare ancora di più il proprio futuro. Al calare della notte, illuminata soltanto da un miliardo di stelle, lo sciamano, vestito di azzurro e di ocra, ribattezzò il ragazzo. Il suo nuovo nome era Naic, nome indiano che sta a significare “Freccia che Vola”.
Il piccolo indiano era diventato uomo.

domenica 17 dicembre 2017

Fiori di Natale

© Nica_2017

Ci sono anime che camminano,
timide e silenziose, attorno a noi.
Non disturbano.
Non si lamentano.

Salutano cautamente,
per non essere centrate
dietro lo spigolo
di una porta tagliafuoco.


Poi trovano lo strumento
che media l’interno con l’esterno.
Diventano un rombo di tuono
quelle anima accondiscendenti.


Anche quelli tranquilli, a volte,
si ribellano… spaccano il mondo.
Sotto ai piedi, la terra vibra,
come pelle di tamburo.


Tra i fiori di natale, un terremoto.

Graffi

© Nica_2017

Suoni che graffiano, 
di piastrine che si accavallano.


Non si evitano. Si cercano. 
Lui è attirato.
Come il ferro dai magneti. 
Come l'uomo dalla terra.
Come il naso dai profumi.



Si allontana di soppiatto, 

ma subito rinasce 
la voglia di sentire, 
la voglia di scoprire 
e anche quella, forse, di soffrire. 



Con quei graffi a volte profondi e a volte meno, 

che tornano a sanguinare. 

Graffi che curiamo e sappiamo di saper superare.




Liberi.

domenica 17 settembre 2017

Casa

© Nica_2017


Le case sono tante milioni di milioni.
Sono di pietra, di legno, di paglia, di guscio. Si sfaldano con un soffio, con due o con tre. Meglio ancora stanno in piedi per sempre. Sono grandi, piccole o medie. Gialle, verdi, rosse o blu. Possono essere basse oppure avere cento piani e guardare il mondo dall'alto. Sono in montagna,al mare o in campagna. Nel deserto o in città, nella foresta o dietro a una roccia. Profumano di nuovo, di vita, di giochi, di cucina, di vecchio, di umido, di oriente, di salsedine, di arrosto. Sono pulite, senza aloni o sporche di terra e fango. Sono vissute o disabitate, o forse così crediamo noi.
Comunque l'unica casa vera è quella dove si vorrebbe essere sempre. È dove ci si sente sicuri. La mia casa è dove sei tu. La mia casa è il tuo abbraccio.

martedì 12 settembre 2017

A volte, pur perdendo, il gruppo vince!

© Sonia_2017



Credo che il gruppo abbia una forza fuori dal comune e durante le ultime 56 ore (ora più, ora meno) lo abbiamo consolidato.


Tutti mi dicevano, prima di partire per questo lungo (breve) viaggio, che il soggiorno in quel di Santa Maria sarebbe stato uno di quei momenti dove ci si "tira giù la pelle di dosso" un minuto sì e l'altro anche. Un week end fuori tempo in cui lo scopo sarebbe stato quello di litigare. 

Sono rientrato a casa oggi e il mio pensiero è quello che avevo esposto come risposta a chi ci aveva detto tutto questo. 

"Se lo scopo di questo seminario è quello di farci litigare, beh io ho già perso." 

Siamo partiti con un vantaggio tremendo e proprio grazie a questo vantaggio... abbiamo perso. E sono contento e orgoglioso di poter dire che abbiamo perso tutti insieme. 

Per fortuna. Ha perso tutta la classe,...
...ma allo stesso tempo ha vinto. 

Ha vinto grosso, il banco piange.

Ha vinto sui pregiudizi. Ha vinto sulla suddivisione dei compiti. Ha vinto Masterchef. Ha vinto sulla conoscenza. Ha vinto sulle emozioni e sulle esperienze. Ha vinto sulle condivisioni. Ha vinto sui singoli favorendo il gruppo. Ha vinto nella fratellanza e nel divertimento. Ha vinto contro streghe e contro i lupi. Ha vinto mezza bottiglia di Limoncé e due fette di salame. Ha vinto sui colpi di testa. Ha vinto sugli sbalzi di pressione. Ha vinto sugli ospiti a otto zampe. Ha vinto sulle paure e sui timori. Ha vinto su chi non voleva mettersi in gioco. Ha vinto quattordici melanzane. Ha vinto mille canzoni. Ha vinto il sole, perché ognuno ha il tempo che si merita. Ha vinto stories e post. Ha vinto fotografie. Ha vinto sulla stanchezza. Ha vinto sulla golosità. Ha vinto uno spirito che non si era mai visto prima. Ha vinto il rispetto, la pazienza e la lealtà. Ha vinto sui regali e sui desideri. Ha vinto sulla gravità, sul fango e sugli autolavaggi, Ha vinto sui ritmi uguali o diversi. Ha vinto sulle vertigini. Ha vinto sui pesi piuma e sui pesi massimi. Ha vinto la stima, tanta, e la schiettezza. Ha vinto sulla voce spezzata dai singhiozzi. Ha vinto sulle lacrime. Ha vinto sulle asticelle, quelle alte, che ci poniamo da sempre. Ha vinto sulle critiche e ha vinto sulla caparbietà. Ha vinto sulla testardaggine. Ha vinto sulla durezza delle espressioni. Ha vinto su una persiana che si smantella da sola. Ha vinto su una manche di bandiera. Ha vinto sulla messa a fuoco e sul conto alla rovescia.

Ha vinto e continuerà a vincere, anche quando gli ostacoli saranno più alti di un muretto in cima a una torre residenziale. Vincerà, alla faccia di chi non ci credeva. 

È stato faticoso e impegnativo. Ma la strada ora (ma a dire la verità lo era già) è in discesa. E sono fiero di poterla dividere con persone così in gamba. Sappiamo di poter contare su pilastri stabili, che con noi condividono tanto.


mercoledì 9 agosto 2017

Controllo l'ombrellone...

© De Biasio Progetti


Buongiorno, sono Romano - di nome, non di fatto - e da ore, con il cappello abbassato sul filo degli occhi, sono seduto qui, su una sedia di tela. Davanti a me c'è un mare di acqua e sale, di sabbia grossa (come quella per far la malta) e di gente. Mari che si mescolano e non sempre si fanno conoscere.
Tre mari che una volta apprezzavo. Adesso non so. Mi girano quando mi guardano, mi scotto con 'sta sabbia di mezzogiorno, faccio il muso lungo quando il costume è umido.
Per ora controllo l'ombrellone. Aperto.

Mi piacerebbe essere a casa, spiaccicato sulla mia poltrona, a fare proprio quello che sto facendo qui, nulla,... invece sono seduto su questa sedia di tela e controllo l'ombrellone. 
Vorrei andarmene via, ma come dice la sirena spiaggiata, che all'uscita dal mare stento a riconoscere, devo aspettare l'ora buona. Quella in cui arrivano i figli. Quella è l'ora di andare, ma ora devo stare ad aspettare e allora... controllo l'ombrellone. Manca un po' di ghiaietto alla base; ne metto un po' qui, e anche un po' qui. 
L'unico modo per farmi uscire dal mio mondo è puntarmi una magnum, caricata ad acqua, alla tempia. Mi fa sorridere. Rido. Rido di gusto. Alla calibro quarantaquattro rispondo con trentadue denti e intanto... controllo l'ombrellone. Schiaccio la ghiaia con il sandalo di pelle, lo giro e lo rigiro, l'ombrellone. 
Andrei da solo a casa, lo ripeto mille volte e mille ancora. Ogni volta accompagno queste mie parole con le mani, che si appoggiano ai braccioli della sedia di tela, con l'intenzione di spingermi via. Andrei da solo, ma controllo l'ombrellone.
Andrei, ma a quanto pare non posso.
Sembra che quel bastardo tedesco che ha deciso di assediare la mia testa, non me lo permetta. 
Allora rimango qui, seduto sulla sedia di tela di fronte ai tre mari che non sopporto più. Rimango qui con il cappello abbassato sul filo degli occhi, con una magnum puntata alla tempia, aspettando l'ora buona e... 
controllo l'ombrellone.
Stringo il laccetto.
Chiuso.

domenica 25 giugno 2017

Il Nord

© Pixabay.com

Non devi usare giochi di prestigio
per attirare l'attenzione su di te;
vestiti particolari non servono
per farti guardare.

Tutto di te mi attrae.

Io sono l'ago di una bussola impazzita,
che trova pace solo con te,

che sei il mio Nord, al fianco.